lunedì 13 agosto 2012

ITALIA 2035: SERVIRE IL MERITO (2)





Per anni intonammo l'inno: «Servire il Merito». Fu a quel punto che i più insigni esponenti del Partito della Meritocrazia proposero un'intesa di ampio respiro ai colleghi del Partito della Democrazia. Non era possibile accettare ancora quello spettacolo di promozioni senza merito, né tollerare che procedessero senza consultare le parti sociali. Chi avrebbe potuto dimostrare di avere compiuto una carriera meritevole e, dunque, ricevere la pensione? Per i democratici – noiose persone di buon senso – avrebbero dovuto essere gli anziani, e i dipendenti, i sindacalizzati e i difensori dell'uguaglianza delle opportunità; coloro che possono fare sciopero, attività tollerata dal Partito della Meritocrazia perché rientra nei diritti ancestrali della generazione che ha fondato il paese e che per sempre lo sorreggerà. Anche i democratici, fieri avversari della meritocrazia e delle sue penose menzogne, sanno che il mondo si misura sullo scorrimento delle carriere secondo il merito, e questo vale per tutti: ricercatori senza ricerca, ministri senza carriera politica, rivoluzionari senza partito.




I due partiti trovarono un accordo. Nella composta atmosfera pasquale pensarono al sacrificio di Nostro Signore e siglarono quello che alcuni cronisti hanno chiamato il Patto dell'agnello. Ogni anno, dal 2011 al 2035, il sacrificio di metà della popolazione è stato festeggiato il giorno della resurrezione. «Possiamo litigare su tutto» ha detto il presidente del Consiglio al capo dell'opposizione «ma almeno riconosciamo ai nostri il merito e la competenza e ai vostri i diritti acquisiti da una seria carriera di lavoratore dipendente.» Seguì una stretta di mano.
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L'accordo siglato nasceva dalla consapevolezza dei rispettivi limiti. Il Partito della Meritocrazia sapeva che una meritocrazia generalizzata era vulnerabile, poiché avrebbe comportato un sistema di valutazione permanente dei meriti assai costoso. La formula magica del programma del partito era questa: se le capacità e le competenze aumentano, le posizioni da occupare devono essere sempre più prestigiose. Se invece diminuiscono, è necessario abbassare le pretese di tutti. Se poi cambiano, a causa di un qualsiasi evento, un incidente che penalizza il meritevole o una sua crisi psichica, le posizioni devono ugualmente cambiare. Il paradosso del progetto utopistico di una meritocrazia generalizzata è pretendere dallo Stato una rivoluzione permanente che metta a soqquadro l'ordine sociale. È un paradosso che condanna la società del merito a un'instabilità forzata, e destabilizza i suoi meccanismi di valutazione. A meno di non considerare la società come una squadra di calcio – e nel Partito della Meritocrazia questa era sempre stata una forte tentazione – emerse la consapevolezza che le competenze e le professionalità non dovevano essere più considerate come centravanti da sostituire, lasciare in panchina o in tribuna, e rivendere ad altre società in base al rendimento stagionale.
E che invece il figlio di una famiglia non abbiente, che avrebbe potuto contare sulle capacità e le competenze degne almeno di un ministro, se non proprio di un premio Nobel, aveva dovuto accettare un contratto da postino precario, per poi finire con un cancro ai polmoni per i vent'anni di lavoro in una cava di tufo.


Il Partito della Democrazia sapeva che una società dell'uguaglianza perfetta era irrealizzabile, poiché avrebbe comportato l'abolizione delle classi sociali. Da tempo il Partito aveva rinunciato alle velleità della rivoluzione politica, ed è probabile che ne avesse accantonato persino l'ipotesi sin da prima della sua fondazione. La democrazia in questione avrebbe dovuto limitarsi a una già miracolosa, e insperata, uguaglianza delle opportunità. Una sfida colossale in un paese in cui avrebbero continuato a dominare il nepotismo, le caste organizzate fuori e dentro gli ordini professionali (a quel tempo erano 19, oggi sono 100 in più). Un osservatore intelligente, e in quel partito ce n'erano parecchi, sarebbe stato in grado di comprendere quanto fosse criminosa la rendita goduta dalle classi privilegiate, che tra il 2011 e il 2030 avevano aumentato il loro vantaggio rispetto alle classi popolari di almeno il 200 per cento all'anno. Non si contavano ormai più le crisi e i disastri causati dal fatto che il figlio, e talvolta la figlia, di un padre sbagliato si trovava nel posto sbagliato, nel momento sbagliato. 




Per miracolo la dottrina dell'uguaglianza dei meriti e quella della meritocrazia delle opportunità si affermarono nella moralità comune senza l'intervento diretto dello Stato. E questa fu l'occasione per una vera rivoluzione dei costumi, che spinse l'arco parlamentare a modificare le proprie millenarie abitudini. Il gigantesco rimescolamento spinse i conservatori di entrambi gli schieramenti a diventare i nuovi rivoluzionari, che volevano due lussi nello stesso tempo: il lusso dell'ereditarietà e quello dell'efficienza. Ci furono proteste e qualche tumulto, ma tutto tornò in ordine giusto in tempo per le vacanze estive. 
Nulla avrebbe potuto turbare i presupposti di quell'accordo che rispettava i canoni della solidarietà sociale dei democratici, e il desiderio di ascesa sociale dei meritocrati. Uguaglianza e differenza, società e impresa, giustizia e competizione. Tutti i valori della convivenza erano rispettati, e mai nessuno avrebbe potuto metterli in dubbio. Per anni, i sondaggi dimostrarono che le agitazioni erano alimentate più da un sentimento di opposizione ai conservatori che da una simpatia per i rivoluzionari.

Il Patto dell'agnello aveva rotto le dighe: gli obiettivi nominali dei partiti confluivano nel culto repubblicano della democrazia del merito, due valori non più opposti perché hanno creato un ossimoro permanente che oggi ha occupato il cielo e la terra. Visti i numerosi precedenti di insorgenze simulate, più che praticate, è possibile che la rivoluzione del 1° maggio 2035 sia soltanto un altro 1848 all'italiana. Le università potranno anche brulicare d'odio, ma molti non prevedono nulla di più serio che uno sciopero di qualche giorno e agitazioni della durata di una settimana, tumulti facilmente sedati dalla polizia, con le sue nuove armi.

L'intelligenza prodotta dalla scuola e dall'università di massa è ormai un ricordo. Tutto è stato consumato e quello che resta serve per mettere al lavoro milioni di persone laureate e plurispecializzate – nate in Italia e con la cittadinanza italiana – nel Corpo Ausiliari Domestici (CAD). Gli immigrati, i cittadini italiani di seconda generazione e le classi popolari continueranno invece a essere occupati nel Corpo Collaboratori Servili (CCS).
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Il governo decise di tagliare tutte le borse di studio, che comunque non erano erogate da tempo agli aventi diritto. Impedì l'assunzione dei vincitori di concorsi, interruppe le vecchie abitudini pedagogiche, riunire nella stessa classe intelligenti e stupidi, secondo i modelli universalistici, era un'idea improponibile nella nuova epoca meritocratica. Agli insegnanti venne tagliato il 30 per cento del salario, la loro professione venne messa in esaurimento. Coloro che non erano entrati in ruolo furono obbligati a cambiare mestiere, scegliendo un part-time come guida turistica, apprendista tornitore o barista, mentre i più anziani concorrevano per un posto da baby-sitter, assieme a giovanissime ragazze magrebine o del Sudest asiatico. 

Molti dei più alti dirigenti del ministero dell'Istruzione, coadiuvati da una schiera di consulenti provenienti da alcune delle migliori lobby del paese, non dimenticarono il consiglio di Platone: solo ai sapienti poteva essere affidato il compito di istruire i futuri sapienti. Ma, per farlo, bisognava sapere distinguere i custodi, dai CAD e dai CCS. I primi, i custodi, sono generati nell'oro, e sono pregevoli sopra ogni cosa. Gli ausiliari – la gran massa dei CAD da ridurre – erano stati forgiati nell'argento, e avrebbero dovuto piegarsi al bronzo che scorreva nelle loro vene. Insomma era necessario cambiare il corso naturale delle cose, perché nulla è naturale nella democrazia del merito: dall'argento si doveva generare una prole bronzea, provvedere a deprezzare il bronzo, convincere gli ausiliari a voler diventare di bronzo, non lasciando che continuassero a desiderare di diventare tutti d'oro.


Dodici anni fa, nel 2023, finalmente la svolta. La scuola a ciclo unico venne abolita, insieme al liceo classico. Le facoltà umanistiche furono incluse nelle nuove facoltà di scienze applicate. Gli insegnamenti delle scienze di base, o sperimentali, vennero finalmente ridotti a corsi facoltativi a pagamento. L'istruzione fondata sulla storia diventò il sottoprodotto del sistema della formazione professionale, e la massa degli ausiliari fu ricondotta alla ragione. Solo alla razza aurea dei migliori fu lasciato il diritto di ribellarsi alle convenzioni e alle restrizioni imposte. A loro toccava creare un nuovo mondo dove i giovani avrebbero comandato sugli anziani, ma sempre fuori dal lavoro. 



La democrazia meritocratica avrebbe premiato l'ingegno dei giovani, solo se questi avessero rispettato l'autorità degli antenati. Sempre più i vecchi custodi guardavano i giovani leoni con sufficienza, assumendo grandiose pose da ribelli quando quelli osavano sfidarli. I sindacati non osavano parlare di meritocrazia, ma proteggevano i diritti acquisiti. Un giovane poteva entrare in un club esclusivo, sedere al tavolo del migliore ristorante della città, aspirare a rilevare una funzione dirigenziale solo in deroga a un complesso regolamento, che permetteva un assunzione solo dopo dieci pensionamenti. Una condizione impossibile da realizzare visto che i pensionati venivano regolarmente riassunti dalle aziende e dallo Stato. I giovani potevano però tranquillamente stare a guardare, ricevendo ricompense e privilegi ben pagati, in attesa di invecchiare.


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L'esplosione del mercato nero dei meriti e il ritorno a forme di religiosità pre-cristiane segnò l'avvento del nuovo medioevo nelle nostre città. Prima che la Chiesa abolisse il mercato delle indulgenze, in quelle stesse piazze non era difficile osservare lo scambio tra il merito di Cristo con le virtù della Vergine, gli appellativi dei santi con i crediti dei mercanti. A quel tempo esisteva una sovrabbondanza dei meriti non rivendibili, se non a un prezzo simbolico, sul mercato. Anche allora era avvenuta una catastrofe della fede che aveva distaccato i credenti dal culto della loro religione. Il papa gestiva un capitale di meriti senza valore, mentre i suoi sudditi usavano i meriti per barattare merci, affari, possibilità di vita. Questi uomini e queste donne non credevano più che la grazia divina fosse indifferente ai meriti accumulati durante il corso della loro esistenza. C'era sempre qualche interesse da vendere sotto banco o da elevare al cielo per dimostrare meriti inappropriati. 


Allora, come oggi, le eresie furono duramente represse, mentre il commercio illegale cresceva a dismisura.

(2/ Continua)

Roberto Ciccarelli

La prima parte, italia 2035. la rivolta.  

La seconda parte: Italia 2035. servire il merito

(La versione completa del racconto è pubblicata in 2035: fuga dalla precarietà)

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