lunedì 2 dicembre 2013

IL TACCO DEL DUKA: UN DISINCANTATO DESIDERIO DI RIVOLUZIONE

Bardo della contro-cultura romana. Visionario dell'arte affabulatoria, memorialista dei bassifondi. La sua scrittura è una parola cadenzata, lavorata nel discorso libero indiretto, una sintesi tra il fatto biografico, il reportage, la politica. Il Duka, si fa chiamare come David Bowie, ma è nato e vive nel quartiere di San Basilio a Roma. Detesta lavorare e ama la bella vita, si legge nella quarta di copertina del suo ultimo libro “Il tacco del Duka” (Agenzia X, pp. 209, euro 14). 

Lui è un degno rappresentante di una forma di vita diffusa nelle nostre città, quella che unisce lo stile dell'aristocratico con la condizione di una nuova specie di proletariato: intermittente, informato, mobile e precario, orgoglioso della propria indipendenza.

Queste caratteristiche sociali, che sono quelle degli apolidi contemporanei, sono determinanti per comprendere lo stile orale della scrittura del Duka, per come si è data fino ad oggi nei romanzi “Roma K.O.” o “Rumble Bee” (Agenzia X) con lo scrittore milanese Marco Philopat. Nei cinquanta reportage (corrispondenze, recensioni di libri o musicali, di viaggi, storie dei movimenti americani e italiani) contenuti in questo libro, copia su carta della rubrica omonima su Radio Onda Rossa nell'ambito della trasmissione di culto “Daje pure te”, lo stile del Duka è prossemico.




#19O video-tacco / #test from fratelli di TAV on Vimeo.


Dipende dalla disposizione del suo corpo, i gesti, i comportamenti, una comunicazione sia verbale che non verbale contenuta nella parola scritta. Tutto questo non lo si può vedere leggendo un libro, è ovvio, ma lo si può sentire. Casualmente mi è capitato di vedere il Duka mentre interveniva in diretta con uno dei suoi “colpi di tacco”(che in romanesco sono l'opposto di una “sòla”, come recita il claim della trasmissione).
Camminavamo dalle parti del Pantheon, Duka raccontava la storia del movimento studentesco e gli scontri a Chicago nel 1968. Improvvisando e facendo rivivere la cronaca di quei giorni, il detto della sua scrittura parlata inglobava le fonti scritte e orali di un evento. Per scrivere, dunque, bisogna mantenere una posizione. Fisica, come quella eretta di un pianista, e politica. Quando parla, e dunque quando scrive, quella del Duka è concentrata, energica. Si ferma, guarda fisso davanti a sè, segue con gli occhi uno schema argomentativo. Sciorina parole precise, scandite come un rap. Questo è il cuore della sua scrittura, che non è testimonianza, ma segue una logica politica: c'è l'amico, il nemico, la ricerca di una sintesi problematica. Su questa radice egli innesta una vena immaginaria.

E così il Luna Park del Pigneto a Roma diventa “Bongo Street”, la storia dell'autonomia operaia viene trasfigurata nel teletrasporto creato dalla facoltà di Astronomia Operaia. Questa ironia fa esplodere le contraddizioni e permette al Duka di renderle dicibili, conquistando la possibilità di dire la verità alle sue comunità di riferimento. L'affetto che circonda il bardo, come accade al Duka, è il riconoscimento di questa capacità a suo modo parresiastica.


Egli elabora un registro composto da iperboli che sfidano il regime della verosimiglianza, come nella visita alla première dame Carla Bruni, o alla festa a Buckingham Palace per il Royal Baby dove il Duka si è “auto-inviato”. Il suo obiettivo è catturare l'attenzione, come fanno i narratori davanti al fuoco. Per farlo, bisogna sospendere il senso comune nella società dello spettacolo. In questo modo il Duka racconta le micro-storie degli umili, dei giovani, degli artisti, dei militanti, dei proletari. Salvare la memoria dei sommersi della storia, proteggere la loro vita nel presente. Desiderare la loro redenzione. 

Nel mondo del Duka persiste una disincantata vena rivoluzionaria.

Roberto Ciccarelli

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