domenica 15 dicembre 2013

NON STUDIO, NON LAVORO: E' UNA QUESTIONE DI QUALITA' (ORGOGLIO NEET)

Tren­ta­quat­tro anni è un’età rispet­ta­bile. Jim Mor­ri­son era già morto, come Jimi Hen­drix, per non par­lare di per­sone più impor­tanti di loro. Alla stessa età, Mora­via aveva già scritto “Gli Indif­fe­renti” e Van Gogh ini­ziava a dipin­gere le sue tele più famose. In campi meno esem­plari, o “male­detti”, della reli­gione, del rock, della let­te­ra­tura o dell’arte, i tren­ta­quat­tro anni pos­sono segnare la nascita del primo o del secondo figlio, qual­cuno potrebbe pen­sare per­sino ai nipoti. In Ita­lia no. E non per­ché tutto que­sto non sia pos­si­bile, ma per­ché un’intera società è con­vinta che a 34 anni le donne e gli uomini siano ancora «gio­vani» e che non abbiano le stesse esi­genze – e i diritti – degli «adulti», desti­nati a vivere come eterni adolescenti.




Que­sta è la realtà sulla quale riflette anche l’Istat che ieri ha dif­fuso una nuova rile­va­zione sui Neet, cioè i gio­vani che non stu­diano e non lavo­rano (Not in edu­ca­tion, employ­ment or trai­ning, in inglese). Oltre il 27% delle per­sone tra i 15 e i 34 anni sareb­bero in que­sta con­di­zione, sostiene l’Istituto Nazio­nale di Sta­ti­stica. La per­cen­tuale cor­ri­sponde a 3,75 milioni, 300 mila in più rispetto al terzo tri­me­stre del 2012 (quando erano 3,43 milioni). I sog­getti più vul­ne­ra­bili che non sono inse­riti in per­corsi di for­ma­zione, di lavoro o istru­zione vivono a Sud dove i Neet toc­cano la quota record del 28,5% (era al 25,8 nel tri­me­stre cor­ri­spon­dente dell’anno scorso). Due milioni e 10 mila per­sone (oltre la metà dei Neet nazio­nali) sono fuori dal peri­me­tro ristretto della società del lavoro.

Non studiare, non lavorare (non guardo la Tv, il cinema ecc)
Per l’Istat que­sta con­di­zione riguarda tanto i quin­di­cenni, quanto i tren­ta­quat­trenni, pra­ti­ca­mente una gene­ra­zione con per­sone di età, biso­gni e con­di­zioni socio-economiche com­ple­ta­mente diverse. Se si guarda agli under 29, cioè a coloro che fino ad oggi sono stati con­si­de­rati uffi­cial­mente «Neet», nel terzo tri­me­stre del 2013 sono il 27,4% a fronte del 24,9% dello stesso periodo del 2012. A Sud coloro che sono fuori dai per­corsi di cit­ta­di­nanza sono il 36,2% (1,344 milioni su 2,564 milioni). I “gio­vani” tra 29 e 34 anni sareb­bero 1,2 milioni, di cui 666 mila nel Mez­zo­giorno. Ben 1,5 milioni dei Neet nazio­nali, inol­tre, hanno stu­diato fino al diploma di scuola media, men­tre 1,8 milioni hanno la matu­rità e solo 437 mila pos­sie­dono una lau­rea, un dot­to­rato o una spe­cia­liz­za­zione. Il Neet è in mag­gio­ranza di sesso fem­mi­nile: le donne sono 2.112 milioni, men­tre gli uomini sono 1.643 milioni.

Con quest’ultima rile­va­zione l’Istat ha cam­biato il cam­pione di rife­ri­mento dei gio­vani Neet in Ita­lia. Fino a ieri ha con­si­de­rati quelli fino ai 29 anni, il 27,4%, una per­cen­tuale che è tra le più alte in Europa. Aumen­tare il cam­pione della rile­va­zione fino ai 34 anni è un’anomalia, soprat­tutto se si con­si­dera l’originaria fun­zione del con­cetto di «Neet», riser­vata agli ado­le­scenti di 16–17 anni, come rac­co­man­dato dagli esperti che redas­sero nel 1999 un rap­porto con­tro l’esclusione sociale per il governo labu­ri­sta dell’epoca. Non è stato evi­den­te­mente così, visto che il ter­mine viene oggi appli­cato in molti paesi euro­pei fino ai 29 anni e fino ai 34 anni in Ita­lia, Gre­cia o Bul­ga­ria. Lo stesso avviene in Giap­pone o in Corea del Sud dove però «Neet» non viene usato per i «gio­vani» ma per per­sone escluse dal mer­cato del lavoro, che non sono spo­sate o rifiu­tano di entrare in società (si chia­mano «Freeter»).

Cosa significa, davvero, "Neet"?
Più che il tasso di disoc­cu­pa­zione gio­va­nile, che ha una sua rego­la­rità sta­gio­nale e una sua ogget­ti­vità, il «Neet» indica con­di­zioni di esclu­sione molto diverse: il ragazzo che non stu­dia né lavora, il clas­sico disoc­cu­pato, il malato o il disa­bile, gli inat­tivi che cer­cano un lavoro all’altezza delle loro com­pe­tenze, chi rifiuta di lavo­rare. In Ita­lia c’è anche chi, per neces­sità o scelta, lavora al nero.È dun­que pos­si­bile che una parte sostan­ziosa di que­sti 3,7 milioni di 15-34enni Neet ita­liani rien­trino in que­ste o in altri sot­to­gruppi che, in ogni caso, sono lo spec­chio di una società del pre­ca­riato di massa, dove i pro­cessi di pro­le­ta­riz­za­zione sono aumen­tati visi­bil­mente nell’ultimo anno, insieme a quelli legati alla pau­pe­riz­za­zione totale.

Un uso così esten­sivo del «Neet» può indurre la poli­tica a cre­dere che la pre­ca­rietà di un ultra-trentenne può essere affron­tata con gli stru­menti adatti ad un tee­na­ger, pro­prio come avviene in Ita­lia dove il mini­stero dei Beni Cul­tu­rali ha offerto a 500 lau­reati under 35 inden­nità da 416 euro al mese. O come pre­su­mi­bil­mente acca­drà per la cosid­detta «Garan­zia gio­vani», il pila­stro della bat­ta­glia del governo con­tro la disoc­cu­pa­zione gio­va­nile. Ai neo-diplomati e ai neo-laureati under 29 potreb­bero andare 225 euro men­sili (il cal­colo è dell’Isfol). La mag­gio­ranza di tutti gli altri non rien­trano nei cri­teri del «decreto lavoro» di ago­sto per finan­ziare appren­di­stati o tiro­cini attra­verso la decon­tri­bu­zione fino a 650 euro alle imprese. (Per un'analisi leggi qui)

In questo si risolvono le politiche "attive" del lavoro di stampo neoliberista: ad un sussidio temporaneo alle aziende (più che ai singoli) e alla produzione di un lavoro non qualificato, povero, a cui non viene riconosciuto il lavoro semplicemente perché - nella logica del finanziamento a pioggia - i fondi da soli non bastano per stimolare una domanda di lavoro che non esiste. Nel mezzo resta il "Neet", una condizione - più che un soggetto - che fissa l'esclusione sociale in una serie di paradigmi oggettivi apparentemente insuperabili.

Modello giapponese per i "giovani" italiani
L'identità "Neet" è un'astrazione creata per definire la condizione del Quinto Stato, basata sull'intermittenza del lavoro e dei diritti. Viene usata per congelare milioni di persone in un'età sospesa tra l'adolescenza e l'età adulta. Se da un lato, come annotano gli esperti di Eurofond, è utile per impressionare l'opinione pubblica (si parla pur sempre di 4 milioni circa di persone che vivono nell'abbandono e nel rifiuto della "cittadinanza") e per convincere i governi a fare qualcosa, dall'altro lato inserire una simile quantità di persone in una categoria statistica molto composita serve a distinguere tra loro i "vincitori" e i "perdenti"

E' questo l'effetto che hanno avuto le politiche di "attivazione" al lavoro riservate ai "Neet" in Giappone. Il finanziamento di tirocini e apprendistato produce risultati economicamente irrilevanti. Tuttavia queste misure servono per creare un'economia "della speranza e della fiducia" dei giovani nel "futuro". Un "futuro" che, evidentemente, non dipende da loro, ma dalla durata degli incentivi che lo Stato regala alle imprese. 

Da trent'anni in Giappone si è sviluppato il fenomeno degli Hikikomori, cioè di quelle persone (adolescenti e adulti) che rifiutano di partecipare a questo processo senza risultati. Con comportamenti di rifiuto, che producono anche patologie psichiche, molto violente contro la società e l'ordine "naturale" del discorso prodotto dall'economia neoliberale della speranza. 


"Neet" conosce in questo modo un altro significato: l'allusione ad una condizione - che noi abbiamo definito come il "grado zero" del desiderio dell'autonomia della persona nella società del lavoro (dipendente) zero -molto lontano dalla realizzazione del sogno neo-liberale: l'auto-realizzazione di se stessi nella società della competizione, una competizione che nella crisi porta al nulla. (A questo proposito, per i curiosi, è interessante leggere questo saggio [in inglese])

Il Giappone, non la Germania, è il paese-guida che l'Italia sta seguendo nelle politiche del lavoro. In una società di questo genere Gesù, Jim Morrison, Jimi Hendrix o Van Gogh, e tutti coloro che vogliono fare la vita che desiderano, sarebbe stati giudicati - a 15 come a 34 anni - "inutili", "perdenti", "pazzi" o "artisti". 

Tradivano il bisogno, l'estrema povertà, la follia, la visione. Loro erano, semplicemente, e dignitosamente, se stessi. Ciò che il "neet", apparentemente non può essere. 

No Job? No money (è una questione di qualità). 

Roberto Ciccarelli

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2 commenti:

  1. Per me neet ha senso dopo i 18. Includere gli adolescenti gonfia la cosa e mescola, come avete già detto voi, realtà troppo diverse. Il disoccupato/inoccupato quasi-giovane è invece una figura precisa

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  2. L'evoluzioni tecnologiche, cibernetiche, scientifiche porteranno una disoccupazione di massa senza precedenti. Il problema non riguarda solo le giovani generazioni ma colpirà la popolazione tutta. La vera questione si risolve solo con una diversa ed equa distribuzione della ricchezza che finora finisce sempre nelle tasche di pochissimi privilegiati.

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