giovedì 22 maggio 2014

UN'ALTRA DEMOCRAZIA, MA PER QUALE EUROPA?

Marco Bascetta



Quando nel 2009 entrò in vigore il trattato di Lisbona, che rendeva operativa anche la Carta di Nizza messa a punto quasi dieci anni prima, il ciclo che aveva condotto all’approvazione dell’uno e dell’altra era giunto al suo esaurimento. Il processo che tra azzardi e prudenze, resistenze e concessioni, comprendeva comunque nel suo orizzonte (e in diversi risultati conseguiti) la costruzione di un’Europa sociale e di un diritto comunitario che garantisse nel loro insieme i cittadini del vecchio continente volgeva al termine. Se era riuscito, sia pur malconcio, a sopravvivere alla bocciatura della Costituzione europea, affondata dall’esito dei referendum in Francia e Olanda nel 2005, non sarebbe sopravvissuto ai quattro fattori che negli ultimi anni hanno in larga misura ridisegnato il campo europeo.

In primo luogo, ovviamente, la catastrofica crisi economica globale che in Europa si è manifestata come crisi dei debiti sovrani. In secondo luogo, il definitivo superamento tedesco dei costi e dei problemi connessi alla riunificazione, accompagnato da un incremento di competitività ottenuto a spese dei diritti e dei salari. In terzo luogo, l’inasprirsi di quel sovranismo conservatore britannico che ha sempre messo un freno all’integrazione europea e che ora aspirerebbe perfino a ridurre ulteriormente le prerogative comunitarie. Infine la sconfitta, più o meno completa, delle resistenze antiliberiste in gran parte dei paesi dell’Unione. Per vittoria politica della destra o per assimilazione dei suoi principi fondamentali da parte delle sinistre governative o aspiranti tali.


Questi quattro elementi, nel contesto della crisi e complice la speculazione finanziaria, hanno generato un «diritto europeo dell’emergenza» che si contrappone, nel merito e nel metodo, al processo di integrazione, sacrificandone i principi solidaristici e cooperativi alla legge indiscutibile della competitività e alla stabilità della rendita finanziaria. Se fino a pochi anni fa, almeno in linea di principio, si poteva lamentare un deficit democratico dell’Unione e manifestare la volontà di colmarlo, ora la musica è completamente cambiata. Nella gestione della crisi i cittadini non devono avere voce in capitolo, né come cittadini dello stato di appartenenza (si ricordi la rinuncia obbligata di Papandreu al referendum sul diktat della Troika), né come cittadini comunitari (inibiti nell’affermazione di diritti sociali e politici comuni).

È da questo scenario emergenziale, dall’arresto della costruzione europea come progetto democratico e sociale, che prende le mosse l’analisi condotta da Giuseppe Allegri e Giuseppe Bronzini in un agile ma esauriente libro sulla crisi dell’Unione (Sogno europeo o incubo?, Fazi). Alla lettera dei Trattati, alle raccomandazioni e alle norme del diritto comunitario – spiegano gli autori – si è sostituita una gestione intergovernativa della crisi che non può che rispecchiare il rapporto di forze tra i diversi stati dell’Unione, resuscitando un clima di rivalità del quale si nutrono ampiamente le forze nazionaliste e antieuropee.

I due trattati che rappresentano la spina dorsale della «legislazione di emergenza europea» e cioè il Fiscal Compact e il Meccanismo europeo di stabilità (Mes) sono stati sottoscritti secondo le regole del diritto internazionale e sono dunque del tutto al riparo dagli strumenti e dagli scopi dichiarati dell’architettura comunitaria, per non parlare del controllo democratico. Rispondono, insomma, a una ruvida logica geopolitica. Mentre da una parte si vincolano i diversi paesi a un drastico ridimensionamento dei welfare nazionali e a un rigido contenimento della dinamica salariale, dall’altro, rifiutando una sostanziale autonomia di bilancio dell’Unione, le si impedisce di esercitare una politica sociale a sostegno dei livelli di vita dei cittadini del vecchio continente. I poteri oligarchici occupano, insomma, la totalità del campo.

Questa politica si è dispiegata nel segno di una egemonia della Germania la quale, grazie alla sottomissione coloniale dell’est e al controllo ricattatorio delle pretese di reddito dei suoi cittadini, si è garantita un buon margine di manovra per il mantenimento della pace sociale. Ma questa condizione privilegiata non corrisponde per nulla a quella in cui versano molti paesi dell’Unione, e in particolare quelli dell’area mediterranea, dove gli effetti della crisi minano seriamente la tenuta della coesione sociale. In questi paesi le politiche di austerità hanno colpito duramente i livelli di vita della popolazione senza per questo produrre le condizioni per una ripresa economica, né per la riduzione del debito pubblico. Il fallimento completo di queste politiche restrittive, dalla forte connotazione ideologica, è sotto gli occhi di tutti. E non sono più solo gli economisti di scuola keynesiana a denunciarlo con chiarezza.

L’aggravarsi della situazione – sostengono Allegri e Bronzini – finisce così col mettere in crisi la stessa legislazione europea di emergenza, riportando alla ribalta la questione dell’Europa sociale.L’impasse del modello emergenziale governato da Merkel e Barroso pone tuttavia la politica europea di fronte a un bivio. Da una parte la ripresa di un processo di integrazione che conferisca all’Unione gli strumenti per compensare gli squilibri e garantire ai cittadini europei diritti, libertà e risorse adeguate, dall’altra un ritorno alla prevalenza delle sovranità nazionali, nell’illusione che queste ultime sappiano proteggere le proprie cittadinanze dagli effetti più dolorosi della globalizzazione.

È quest’ultima la conclusione, decisamente poco credibile, a cui giunge, per esempio, Wolfgang Streek, sia pure a partire da una precisa analisi del capitalismo contemporaneo. Conclusione alla quale si oppongono sia Juergen Habermas, mantenendosi nel quadro della più classica democrazia rappresentativa, sia Etienne Balibar, che propone un ripensamento generale della democrazia, approfondendone e articolandone le forme con la partecipazione sempre più incisiva dei movimenti sociali. È entro quest’ultima prospettiva che si collocano gli autori del volume. Quella di una ulteriore spinta sovranzionale che si alimenti di un rinnovamento democratico delle istituzioni europee e di un ciclo di mobilitazioni e azioni collettive continentali che riportino la «questione sociale» al centro della scena. I segnali non mancano, ma dobbiamo riconoscere che le condizioni soggettive faticano a maturare.

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Oggi a Roma alle ore 17 presso l' Aula C, Dipartimento di Scienze Politiche, Sapienza Università di Roma (Piazzale Aldo Moro, 5) Marco Fioravanti, Fulco Lanchester, Cesare Pinelli, Luca Scuccimarra presentano il volume "Sogno europeo o incubo?" di Allegri-Bronzini. 

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