domenica 9 giugno 2013

GESTIONE SEPARATA INPS: LA CGIL VUOLE L'AUMENTO DEI CONTRIBUTI PER IL LAVORO AUTONOMO?

Andrea Dili*

La scorsa settimana, come Associazione XX Maggio, abbiamo presentato una ricerca sul mondo del lavoro atipico, concentrandoci in particolare sugli iscritti alla famigerata gestione separata dell'Inps. Per i dati rimando a questo articolo di Roberto Ciccarelli e al prospetto dei dati pubblicati sul nostro sito. Qui vorrei soffermarmi sulla inaccettabile situazione vissuta dai lavoratori in partita iva. 

Come noto, sono persone che svolgono il proprio lavoro in forma autonoma, che mettono in gioco sul mercato le proprie competenze professionali, che generalmente forniscono servizi e prestazioni ad alto valore aggiunto per la collettività. Si tratta - e questo forse è meno noto - di soggetti penalizzati rispetto ai lavoratori dipendenti sia da un punto di vista fiscale che previdenziale. 


Le partite iva iscritte alla gestione separata Inps, infatti, si accollano l'intero costo dei propri contributi previdenziali e assistenziali a fronte del quale godono di diritti e prestazioni fortemente limitati, soprattutto se confrontati con quelli dei dipendenti. Il continuo incremento dell'aliquota della gestione separata - passata dal 10% del 1997 al 27,72% di oggi - si è tradotto in un forte decremento del reddito disponibile delle partite iva: se nel 1996 un compenso lordo di 1.000 euro al mese equivaleva a un redito disponibile di circa 750 euro, oggi ne rimangono in tasca meno di 550. Situazione che evidentemente rischia di mettere le persone di fronte alla drammatica scelta tra mancata sopravvivenza e uscita dalla legalità. 

Come se non fosse abbastanza, per queste persone continua a piovere sul bagnato: il pieno dispiegarsi della riforma Fornero, infatti, porterà in dote un ulteriore incremento dell'aliquota previdenziale che a regime arriverà al 33%. Ovvero quei 550 euro diventeranno circa 480 (contro gli 811 di un dipendente). A fronte di tale sacrificio lo Stato non mette sul piatto alcun reale beneficio per questi lavoratori, né in termini di tutele sociali né tantomeno di diritti che continuano a essere lontani anni luce da quelli dei lavoratori dipendenti. Di fronte a questa situazione sorprendono le affermazioni di Roberto D'Andrea, responsabile della contrattazione del NidilCgil, che si dichiara favorevole all'incremento dell'aliquota previdenziale. 

Una tesi che sorprende doppiamente poiché recentemente altri illustri esponenti della segreteria Confederale dello stesso sindacato si sono detti contrari a tale misura. Al di là delle legittime opinioni di ognuno, meglio se suffragate dal fatto di vivere la condizione di partita iva sulla propria pelle, e con la convinzione di chi ritiene che su tali temi occorra spogliarsi da qualsiasi suggestione ideologica, sfido chiunque ad affermare che risponda a principi di equità e giustizia sociale il fatto che un lavoratore a basso reddito (1.000 euro al mese) debba essere costretto a versarne oltre la metà allo Stato. 

Convince, invece, l'idea di agganciare anche i compensi delle partite iva ai contratti collettivi di lavoro, sulla base del principio che il lavoro flessibile debba costare più di quello stabile: soltanto in questo modo si potrà cominciare a mettere fine alla prassi di scaricare il peso del costo del lavoro sull'anello più debole della catena. 

Per questo, la nostra Associazione - all'interno della coalizione Alta Partecipazione - ha contribuito a elaborare proposte di legge volte alla riduzione dell'aliquota della gestione separata per le partite iva, equiparandola a quella degli altri lavoratori autonomi, e all'individuazione di compensi minimi legati alla contrattazione collettiva ma anche alla reintroduzione del regime fiscale dei minimi.

Portavoce Associazione XX Maggio


(Pubblicato su Il Manifesto 8 giugno 2013)

1 commento:

  1. MI LICENZIO ANZI NON VADO PIU ALAVORO SEMPLICEMENTE...IO DI 600 EURO NE DEVO IL 75% ALLO STATO CLPA DI QS FORNERO DEI MIEI MARONI E POI SI LAMENTA SE LA VOGLIONO AL CIMITERO, INFAME

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