sabato 1 giugno 2013

LA DOPPIA TRUFFA DELLE UNIVERSITA': PRECARIE FINO ALLA PENSIONE

Questa storia parte da due denunce. Siamo nel 2011 e all'ateneo di Firenze una ricercatrice precaria scopre che le assegniste di ricerca non hanno diritto alla tutela della loro maternità. Ne scriviamo a quattro mani su il manifesto, i sindacati (Flc.-Cgil e il coordinamento dei precari) si muovono subito dopo e, tempo un anno, il senato accademico dell'ateneo comunica di avere abrogato la norma discriminatoria sulla sospensione degli assegni di ricerca in caso di maternità delle ricercatrici. Anche nell'università, che è un mondo a parte e i precari non vengono percepiti come lavoratrici e lavoratori titolari di diritti e persone che hanno desideri e bisogni, inizia a penetrare la realtà. Quella che vivono milioni di «atipici», lavoratrici autonome, collaboratori nelle pieghe dell'economia della precarietà.


A gennaio di quest'anno, questa volta all'università di Pavia, un coraggioso gruppo di assegniste di ricerca ci contatta su un altro aspetto della condizione del freelance della ricerca. Sul loro blog gasp11.blogspot.it descrivono la condizione che le accomuna ad almeno 1,5 milioni di collaboratori, lavoratori autonomi a partita Iva, iscritti alla Gestione Separata dell'Inps. La loro posizione previdenziale ha più buchi di un gruviera svizzero, il loro ateneo si era semplicemente «dimenticato» di versare i contributi pensionistici per gli anni di lavoro a contratto, o con borsa di studio, svolti da queste ricercatrici.


La Cgil inviò al presidente dell'Inps Antonio Mastrapasqua una lettera in cui si chiedeva di accertare le posizioni previdenziali di tutti i ricercatori precari italiani. Dopo settimane di contatti e incontri, l'Inps ha stabilito che non terrà conto dei termini di prescrizione (5 anni) per chi farà richiesta di avere i propri contributi, riconoscendo dunque l'esistenza di atenei - come di aziende private - che non solo non versano i contributi dovuti, ma che evitano accuratamente di segnalarlo ai loro legittimi titolari. Per evitare la ripetizione di questi abusi l'Inps ha inoltre provveduto a modificare la procedura di accredito dei contributi per gli iscritti alla Gestione Separata, imponendo la tracciabilità nominativa dei versamenti. Da oggi gli errori contenuti negli estratti conto previdenziali individuali potranno essere corretti.

Il prossimo 5 giugno, la Cgil, il Nidil, la Flc, la Funzione Pubblica e l'Inca hanno convocato una prima giornata di sensibilizzazione negli atenei italiani e presso alcuni enti pubblici. Dalle 9 alle 13.30 saranno allestiti dei banchetti dove i sindacalisti di Fp, Nidil e Flc, offriranno una consulenza gratuita ai freelance che potranno consultare il loro estratto conto Inps individuale, richiedere integrazioni di contributi mancanti, rivendicare le prestazioni (come quella della maternità) non liquidate dall'Inps. I banchetti saranno allestiti alla Sapienza di Roma e negli atenei di Cagliari, Modena, L'Aquila, Sassari, Brescia e Palermo, oltre alle sedi dei comuni di Napoli e Livorno.

La mancanza di tutele per la maternità delle donne, e l'elusione del versamento dei contributi Inps a collaboratori, con o senza partita Iva, è una piaga diffusa anche nelle aziende dove proliferano i contratti precari.Per i sindacati è difficile fare una stima, visto che si tratta di una forza lavoro altamente instabile e intermittente. Solo una collaborazione sistematica con l'Inps permetterebbe di seguire le traiettorie previdenziali di queste persone che nella maggioranza ignorano la loro posizione assicurativa. In altri casi vi rinunciano, non sapendo che questi contributi saranno fondamentali per raggranellare gli anni necessari per ottenere una pensione dalla gestione separata che, al momento, per la maggioranza dei collaboratori e dei precari è pari all'attuale pensione sociale: in media poco più di 400 euro.

Una situazione confermata dalla quarta indagine  realizzata da Mefop (società per lo sviluppo del mercato dei fondi pensione) è risultato che la maggioranza (68%) dei lavoratori non conosce con precisione il metodo con cui verrà calcolata la pensione futura e quasi un lavoratore su due ha una stima ottimistica sul tasso di sostituzione che lo aspetta e, quindi del valore effettivo dell'assegno pensionistico rispetto all'ultimo stipendio.

Il racconto di una storia può essere utile per  comprendere concretamente di cosa stiamo parlando. Saranno in molti, anche fuori dall'università, a riconoscersi in questa situazione:

Assegnista Università di Pavia. Durante la gravidanza si reca all'Inps per il congedo di maternità e qui incontra una serie di difficoltà; prima le viene detto che non ne ha diritto perché non ha versato almeno tre mesi di contributi nell'anno precedente (“in quanto non vi è copertura contributiva per almeno 3 mesi nei 12 mesi precedenti l'inizio della maternità"); naturalmente non è vero. Infatti, R.P è assegnista da anni e l'università ha sempre versato i contributi. Dopo molte insistenze (richieste all'università e all'Inps) l'Inps accetta la sua richiesta. In seguito alla nascita del bambino (agosto 2011) , l'Istituto inizia a pagare, ma gli importi degli assegni sono inferiori all'80% del suo stipendio. A dicembre 2011, quando cessano i pagamenti, alla cifra dovuta alla fine dei cinque mesi di maternità manca circa un migliaio di euro. Dopo numerose insistenze, l'Inps risponde che "La cifra versata è completa, visto che la dottoressa ha una copertura contributiva di 9 mesi”. Naturalmente non è vero neppure questo: i mesi effettivamente pagati sono dodici, ma sul database dell'Inps non compaiono. Happy ending: a furia di mail, telefonate e visite di persona sia da parte dell'Università che da parte dell'interessata, l'Inps alla fine del 2012 ha saldato l'importo totale

Roberto Ciccarelli 

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