martedì 13 febbraio 2018

IL REDDITO DI BASE E' UN DIRITTO

Giuseppe Bronzini

I due anni tra il 2015 ed il 2017 hanno conosciuto una vera e propria “esplosione” del tema del diritto (universale) ad un reddito di base, cioè della garanzia di una vita libera e dignitosa per tutti, per dirla in estrema sintesi.

Sulla querelle terminologica torneremo più avanti più analiticamente ma ci interessa in questa sede riassuntiva delle linee di sviluppo del Volume indagare il perché, nel volgere di un solo biennio, una proposta che suonava ai più come scandalosa ed irritante, lontana dalle dinamiche sociali e dai processi economici, in sostanza come una provocazione di ambienti accademici radicali o di movimenti sociali destinati al minoritarismo ed incapaci di trovare credibili alleanze, sia diventata il fulcro di un così intenso ed appassionante dibattito.

Come è stato osservato il reddito di base sembra diventare, in tendenza, un principio di organizzazione sociale (di rilevanza costituzionale ) intuitivo e irrinunciabile così come lo sono diventati, in altre epoche storiche, l’abolizione della schiavitù o il voto alle donne: il fondatore della rete internazionale ( diffusa in trenta paesi) del BIEN ( Basic income network) Philippe Van Parjis ha azzardato, in relazione a questo mutamento di clima (che sfortunatamente coinvolge l’Italia solo marginalmente) la battuta “ un giorno di domanderemo come abbiamo potuto vivere senza un reddito di base universale”.

E’ la centralità che il discorso sulla garanzia di un “ reddito di base” ha assunto nel confronto internazionale, che coinvolge non solo gli Autori che cercano una dimensione “emancipativa” nella trasformazione tecnologica in corso o ne denunciano i pericoli e le minacce, ma persino i “signori della rete” ed il World Economic Forum, così come importanti Istituzioni come il Parlamento europeo, Stati del vecchio continente o Paesi emergenti, che deve essere spiegata prima ancora di esaminare l’accettabilità di questa prospettiva, la sua concreta fattibilità ed il rapporto con la diversa misura , ma secondo la tesi di questo Volume, vicina per finalità ed ispirazione, del “ reddito minimo garantito”( d’ora in poi RMG) come protezione di chi versa concretamente in una situazione di bisogno.



Anche coloro che si dichiarano contrari a questa proposta dovrebbero dover formulare delle risposte che siano in grado di indirizzare quei fenomeni che i teorici del “ reddito di base” hanno, a ragione, indicato come componenti di un nuovo scenario sovversivo delle politiche e delle certezze precedenti che non può essere fronteggiato con provvedimenti di manutenzione dell’esistente; più investimenti pubblici, più peso ai sindacati, una riduzione generalizzata dell’orario di lavoro, la limitazione dei contratti cosidetti “ atipici” con il contrasto della precarietà, interventi che vorrebbero puntellare ciò che ancora resta dell’architettura i dei cosidetti “ trenta gloriosi (l’“ età dell’oro” del welfare state) cercando di bilanciare gli effetti perversi del pieno dispiegamento del capitale finanziarizzato e dell’egemonia delle scuole neo-liberiste.

Certamente molti di questi suggerimenti sono saggi ed accettabili ma ci sembra che non colgano a pieno le sfide dell’innovazione tecnologica (ed anche culturale) in corso, il suo carattere dirompente, aperto e dilemmatico, il carattere “ rivoluzionario” di quanto sta accadendo in una forma che è l’esatto contrario di una spallata violenta e dichiaratamente sovversiva dell’ordine costituito, visto che si cambiano i presupposti stessi del gioco sociale più che ribaltarne le regole. Si potrebbe parlare, richiamando una nozione molto discussa negli anni 90 del secolo scorso nella sinistra radicale, di un “esodo” dai fondamenti economici moderni e dalle connesse architetture istituzionali e politiche, drenata tecnologicamente e certamente ancora governata dalle logiche del profitto capitalistico, ma che, scuotendo le fondamenta stesse del sistema di riproduzione sociale, iscrive obiettivamente in agenda la questione di una “nuova Costituzione” coerente con quella che è stata definita la quarta rivoluzione industriale.

La “ grande trasformazione” in atto- non ha- quindi- a che fare solo con l’ultima fase di quella che il noto storico dell’economia David Landes ha definito la “liberazione di Prometeo”, la progressiva sostituzione della fatica umana con l’operare della macchine, ma anche con i principi che a lungo hanno definito il gioco sociale in condizioni di scarsità, i diritti delle persone ed i con i principi di legittimità democratica in primis .

Insomma il quadro è molto diverso da quando si scriveva sul tema pochi anni orsono: la garanzia di un reddito vitale sta diventando la vera cartina di tornasole della società del futuro perché sempre più si pone un problema di dignità della persona nel senso che Stefano Rodotà, con la sua visione garantistica “ anticipante”, che lo ha visto magnifico interprete di una tradizione di ascendenza illuministica e liberal , ma cimentata costantemente nel fuoco del le trasformazioni in corso (dal cosiddetto biodiritto, al governo della rete sino alla solidarietà in ambito sovranazionale ), ha saputo conferire al termine.

Un diritto del singolo non solo a non essere escluso e discriminato ( e a non subire trattamenti degradanti) ma, soprattutto, di poter autodeterminare le proprie scelte in ogni direzione senza dover mortificare o ridimensionare i propri piani di vita ( attraverso una “ costituzionalizzazione della persona”, che si appoggia su un “ safety net” di protezioni di base), nella connessione sempre più stretta, quindi, con una libertà individuale e collettiva che potrebbe oggi trovare nuove aperture e realizzazioni in quegli spazi di interazione che l’innovazione ha reso più aperti e praticabili.

Questi cambiamenti portano ad una radicalizzazione obiettiva della rivendicazione di uno ius existentiae (come libertà dal bisogno) perché tale sicurezza individuale diventa anche il presupposto essenziale per una transizione meno dilacerante verso il futuro, uno sfondo meno inquietante di quello in cui ci dibattiamo, che sta già producendo reazioni irrazionali e scomposte verso il mutamento di cui il nuovo “sovranismo nel vecchio continente” (di sinistra o di destra che sia), Brexit e la nuova Amministrazione USA sono evidenti esempi Questa tensione verso un nuovo “ patto sociale “ che consenta a tutti di godere, almeno in parte, i frutti del nuovo dinamismo che invade il mondo produttivo, porta la rivendicazione di uno ius existentiae ben oltre la mera dimensione del contrasto della povertà e dell’esclusione sociale ( in aumento almeno in UE soprattutto per le misure di austerity adottate nei paesi più indebitati) ed anche delle politiche di redistribuzione che riducano la crescente ineguaglianza.

Misurandosi con questo tema si affronta anche la prospettiva ( in parte ancora “ utopica”, dato che i suoi presupposti materiali sono ancora troppo acerbi) di quale potrà essere la natura del “ lavoro” di domani, i termini della sua remunerazione, i rapporti tra la dimensione produttiva e quella individuale e pubblica e via dicendo. Si aprono quindi i cantieri, come ha recentemente scritto Philippe Van Parijs, per “ conciliare nuovamente dinamismo economico e solidarietà”. Se questo è vero ci sembra il sentiero da percorrere nella perdurante incertezza tra un effettivo universalismo dello ius existentiae o una sua versione selettiva, se cioè rivendicare un reddito per tutti da subito o invece per chi si trova in concreto a rischio di esclusione sociale (come prescrive la Carta dei diritti dell’Unione al suo art. 34) lo individui proprio una recente Survey dell’Economist dedicato al “welfare in the age of robots”: l’idea di un reddito universale non gode ancora di un consenso diffuso perché il “ lavoro” è ancora una realtà presente nella nostre vite e non è ancora chiaro come possa evolvere nelle sue modalità e come un “ lavoro 2.0” possa essere remunerato ( non è quindi una misura urgente), è anche vero che “ a universal income in the way to make that transition humane”.

Occorre perfezionare e rendere più protettivo inclusivo e promozionale il welfare che abbiamo già costruito guardando, però, costantemente ai processi che si stanno imperiosamente affermando. Aggiunge l’Economist “ il passato non è sempre una buona guida per il futuro. Il sistema welfaristico è cresciuto per servire un modello di modernità industrial. Sta fallendo con I più poveri e può essere a rischio derivante dallo sconvolgimento tecnologico. Necessità già di un revisione radicale”.

Il RMG come misura che protegge chi concretamente è in difficoltà va quindi rafforzato e va reso coerente nuovamente con le dinamiche produttive contemporanee che non chiedono l’ammaestramento disciplinare delle persone ma la liberazione delle energie creative ed inventive di tutti; per questo deve essere reso incondizionato, nella prospettiva di un’evoluzione verso un vero e proprio reddito di base. Come ha scritto nel 2012 Stefano Rodotà “possiamo specificare meglio la linea di sviluppo che si va chiaramente delineando. Il reddito minimo si configura come punto di partenza e indica le modalità che devono essere prese in considerazione perché si possa giungere all’effettiva tutela di un diritto fondamentale della persona. L’approdo è il reddito di base incondizionato per tutti, o reddito universale, che tuttavia non esaurisce il diritto ad un’esistenza libera e dignitosa, di cui costituisce una essenziale componente. La dimensione istituzionale della cittadinanza” ( ). Del resto, come si dirà, non mancano importanti e recenti proposte che cercano di individuare punti di convergenza anche operativa tra i due schemi di protezione.

*** Estratto dalla prefazione a Giuseppe Bronzini, Il diritto al reddito di base. Il Welfare nell'erà dell'innovazione (GruppoAbele edizioni)
***L'autore partecipa a I LOVE DIGNITÀ / Reddito minimo garantito. Incontro di formazione alla Casa internazionale delle Donne di Roma, 14 febbraio ore 10/16

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