mercoledì 7 novembre 2012

GRILLO: LA PRECARIETA' DIVENTA UN REALITY SHOW POLITICO

La televisione uccide, il talk show crea zombie. Il boicottaggio di Beppe Grillo contro la televisione, è una verità nota dai situazionisti. La trasformazione del candidato, del consigliere o dell'aspirante politico in erba in politico di professione, nell'immagine dell'esperto in verità pubbliche, o curatore degli interessi politici della comunità, è una finzione da sanzionare. E giù insulti, bavagli, improperi e diffide contro trasmissioni come Agorà, Ballarò. Grillo ha stilato anche un decalogo sulle regole della visibilità:

Stupisce che una regola così ferrea contro la produzione di visibilità sia stata stabilita da una creatura eminentemente televisiva come l'autore della migliore satira politica televisiva nell'epoca dell'infotainment critico e militante. E' una legge inflessibile che ha però compreso il segreto della società dello spettacolo integrato. 

Come spiega Giuliano Santoro in un libro acuto sul "populismo digitale" del Movimento 5 Stelle (Un grillo qualunque, Castelvecchi, pp.176, euro 16), rispetto al situazionismo il grillismo usa l'invisibilità, il silenzio, l'idea del candidato senza volto (televisivo) come arma per alimentare l'attesa di un messaggio messianico, creando una suspense narrativa che esalta la connessione diretta ("sentimentale" direbbe Gramsci) tra il leader-attore e il suo "popolo". Un popolo ridotto all'audience del reality-show politico dove è possibile far sognare la notorietà a persone che non provengono dal professionismo politico. Favia, Salsi e le mille presenza dimezzate senza storia regolarmente create, sanzionate e insultate dalla potente macchina semiotica della ditta Grillo-Casaleggio rivelano una doppia strategia. 


La prima è sotto gli occhi di tutti. Grillo resta l'unico attore sulla scena, il domatore dei leoni nel circo eterno delle apparizioni. E' lui che decide i tempi di uno show che dosa sapientemente le quote di visibilità e invisibilità, le uniche merci sulle quali si costruisce una narrazione - un "frame" scrive Santoro - che è molto più ampia di una scalata elettorale. E' ancora questa la storia di un paese orfano delle invenzioni narrative seriali di Berlusconi dove Grillo ha costruito l'unica trama attendibile che parla al cuore del presente.  

La seconda strategia è più sottile, diremmo esoterica, ed è ciò che costituisce forse il maggior interesse dell'ultimo fenomeno della politica mediatica in Italia. In un capitolo particolarmente riuscito Santoro ricostruisce lo sfondo sociale e professionale del popolo grillino. Alla base dell'esercizio di una leadership che usa la rete in maniera televisiva c'è la vita dei militanti che girano video e fanno dirette streaming, vanno nelle piazze con i banchetti del movimento e votano. Se Bossi è stato uno straordinario imprenditore politico capace di fondare un partito - la Lega - che si rivolgeva al piccolo imprenditore delle valli bergamasche e alle partite Iva qualunque, Grillo fonda la sua impresa politica su attivisti che vivono nelle città piccole e grandi, detengono risorse immateriali in termini di tempo, istruzione e competenze. 

Grillismo orgoglio freelance
Sono precari e freelance del lavoro della conoscenza e sono stati investiti da quel processo di proletarizzazione del ceto medio che condanna all'inoccupazione generale, oltre che al "disallineamento" tra la formazione dei plurititolati con lauree e master e la loro occupabilità sul mercato del lavoro. E' questo il dramma della crisi del terziario avanzato che non ha voce in Italia. Oggi Grillo sembra offrire una sponda a questi nativi digitali, ai nuovi poveri, ai non rappresentati, ai "neet" disprezzati dal governo dei professori, agli esclusi dalla democrazia rappresentativa costruita sulla violenza della cooptazione, la corruzione, il corporativismo di una società all'ultimo stadio della decomposizione. Chiaramente non offre soluzioni, ma esalta il discorso della rete come elemento salvifico che si risolve in un individualismo esasperato. 


Il suo movimento non è interessato ad una proposta costituente alla ricerca di una forma comune della vita politica, ma conferma l'idea che l'individuo ritrova il suo protagonismo nella democrazia diretta, cioè nell'illusione della partecipazione senza filtri al reality messo in scena dal leader contro il mondo cattivo delle caste. Questa ricetta farà piazza pulita di ciò che resta dei partiti tradizionali dell'opposizione, a partire dalla sinistra "radicale" e del suo infimo spettro che barcolla ancora sulla scena. Ma questo è meno interessante rispetto alla ricetta di Grillo contro la crisi. Il comico genovese e il suo guru telematico Casaleggio riabilitano il dogma del libero mercato al tempo del fallimento del neo-liberismo. In una democrazia che funziona come la "Rete" verrà ristabilita la concorrenza tra le idee e gli individui. Basta un clic per decidere, un Cv per riconoscere la verità di un discorso. Al vertice della narrazione più postmoderna che ci sia, ecco ritornare la favola della "mano invisibile" di Adam Smith che alloca le risorse e le informazioni nel migliore dei modi. Ieri era il mercato a ricoprire il ruolo di Dio. Oggi, in quel posto, è rimasto solo Grillo.

"Nè di sinistra, né di destra"
Quella di Grillo, prosegue Santoro, è una sapiente strategia del risentimento. La capacità di usarlo, di renderlo intellegibile, garantendogli una narrazione secondo ritmi prestabiliti (cioè uno sviluppo e degli obiettivi che cambiano di volta in volta), permette di sostenere - e imporre - una strategia politico-elettorale. Alla base del risentimento c'è l'odio contro l'esclusione del Quinto Stato dalla società salariale. Grillo viene percepito come anti-tutto e per questo prende voti sia a sinistra sia a destra. In un paese dove i nuovi assunti sono all'80 per cento precari, dove i "neet" sono 2,2 milioni, la disoccupazione giovanile è al 35,1 per cento (terza dopo Spagna e Grecia che sono ad oltre il 50%), mentre il governo Monti ha escluso ogni speranza di integrazione sociale e lavorativa, anche uno spazzino viene visto come membro della Casta - cioè della cittadella del lavoro garantito mediante raccomandazioni o cooptazione - in quanto dipendente pubblico a tempo indeterminato.


I dati citati da Santoro rivelano che nel 2012 i voti a Grillo sono arrivati da quel settore tradizionale dove il lavoro autonomo vota a destra. Ma, considerato il peso drammatico della situazione sociale, è certo che Grillo pescherà voti anche tra chi non si riconosce nel Centro-Sinistra. L'incredibile risultato delle elezioni regionali in Sicilia lo conferma: davanti all'avanzata impetuosa del grillismo - che i sondaggi danno al 20 per cento - la sinistra (o ciò che ne resta) scompare letteralmente. Una sinistra, bisogna precisare, che non si è mai interrogata seriamente sull'esito delle elezioni del 2008 quando perse quasi 3 milioni di voti scomparendo - per la prima volta nella storia repubblicana - dal parlamento. Grillo sancisce - se è possibile - la sua definitiva impotenza.

Ma il grillismo non interpella solo la "sinistra ufficiale", bensì la storia recente dei movimenti. Per questo non è giusto ridurlo ad una strategia elettoralistica che prende voti dalla destra e dalla sinistra. Il grilliamo è una ben precisa identità politica. Scriveva tempo fa Wu Ming 1:


 il «grillismo» mi appare sempre più come un movimento di destra: diversivo, poujadista, sovente forcaiolo, indifferente a ogni tradizione (anche recente) culturale e di lotta, noncurante di ogni provenienza politica [...] Il modo in cui il movimento descrive se stesso trasuda di quella retorica dei «processi dal basso» che il grillismo ha avuto in dote dai movimenti altermondialisti di inizio secolo e si è adoperato a ricontestualizzare. Per molti versi, il grillismo è un prodotto della sconfitta dei movimenti altermondialisti: ha occupato lo spazio lasciato vuoto da quel riflusso. 
L'ormai famoso dirigente grillino Giovanni Favia ha descritto il Movimento 5 stelle come un "rizoma". Dopo il situazionismo di Debord, ecco Deleuze e Guattari, un'altra tappa della costruzione di un movimento "di sinistra". E' ormai evidente che si tratta di un0identità fittizia: il rizoma indica una distribuzione di messaggi e/o produzione di concetti non-gerarchica né lineare, mentre il grillismo è una struttura verticale e gerarchica,  dove esiste un unico centro che decide insindacabilmente per tutti gli altri. Il populismo digitale è l'opposto del rizoma. La democrazia diretta che Grillo vuole sostituire alla democrazia rappresentativa è un'ipotesi di mobilitazione permanente al servizio del reality show della politica.


Roberto Ciccarelli

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Giovedì 8 novembre ore 19
@Csa Astra 19 (via Capraia 19, Tufello)


presentazione di "UN GRILLO QUALUNQUE. Il Movimento 5 Stelle e il populismo digitale nella crisi dei partiti italiani" (edizioni RX Castelvecchi)


ne discutiamo con:

• Giuliano Santoro (giornalista e autore del libro)

• Gianluca Passarelli (sociologo, Istituto Cattaneo, Università la Sapienza)

• Roberto Ciccarelli (giornalista del Manifesto e filosofo)


coordina

• Emiliano Viccaro (Astra 19)

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