martedì 24 settembre 2013

CHE COS'E' IL QUINTO STATO?


Giuseppe Allegri-Roberto Ciccarelli,
Il Quinto Stato
Il Quinto Stato è l’universale condizione di apolidia in patria in cui vivono almeno otto milioni di italiani ai quali non sono riconosciuti i diritti sociali fondamentali. La stessa condizione interessa almeno cinque milioni di cittadini stranieri che inoltre subiscono l’esclusione dai diritti di cittadinanza a causa della loro extra-territorialità in uno Stato.

Il Quinto Stato è una condizione incarnata in una popolazione fluttuante, composta da lavoratrici e lavoratori indipendenti, precari, poveri al lavoro, lavoratori qualificati e mobili, sottoposti a una flessibilità permanente. La loro cittadinanza non è misurabile a partire dal possesso di un contratto di lavoro, né dall’appartenenza per nascita al territorio di uno Stato-nazione poiché per questi soggetti si presuppone l’avvenuta separazione tra la cittadinanza e l’attività professionale, l’identità di classe, la comunità politica e lo Stato. Oggi sono stranieri o barbari tanto i nativi italiani, quanto i migranti. Entrambi appartengono alla comunità dei senza comunità. La loro è una cittadinanza senza Stato, poiché lo Stato non riconosce loro la cittadinanza.

In questo mondo, non basta lavorare per essere riconosciuti come lavoratori. E non basta affermare di essere cittadini di uno Stato per essere riconosciuti titolari dei diritti sociali, previdenziali, civili. La cittadinanza è stata limitata al possesso di un bene residuale, intermittente, e sempre meno retribuito: il contratto di lavoro. Anche quando ha la fortuna di possederlo, il cittadino-lavoratore viene sezionato in una lunga serie di identità parziali.

Si parla, ad esempio, di lavoratori precari, atipici, parasubordinati o con partita IVA i quali, pur potendo dimostrare di partecipare alla politeia, restano cittadini dimezzati perché non godono di un contratto di subordinazione e a tempo indeterminato. Altrettanto complicata è la condizione di chi vive nell’emisfero dell’impresa, oggi travolta della crisi economica iniziata nel 2008. È proprio la zona grigia tra il lavoro e l’impresa a costituire uno dei tratti caratteristici del Quinto Stato.


Esistono milioni di persone che hanno un impiego non contrattualizzato o che svolgono un’attività imprenditoriale in modo non tradizionale. Sono indipendenti che lavorano a intermittenza, su commissione, oppure con un contratto a termine. Si occupano di un’azienda, ma possono anche far parte del consiglio di amministrazione di una cooperativa o aver aperto una partita IVA e lavorare per sé. La compresenza in una persona di più identità lavorative, così come la mobilità tra i lavori o le professioni, o l’alternanza tra periodi di occupazione e disoccupazione, sono ulteriori caratteristiche distintive del Quinto Stato.

Questa condizione è stata sanzionata dal patto sociale che oggi si è dissolto. In Italia è cittadino chi possiede un contratto di lavoro, oppure è un imprenditore, è maschio, bianco, capofamiglia, proprietario di una casa e in buona salute. Esercita un’attività regolata dalla rappresentanza sindacale, oppure lavora nella pubblica amministrazione. Non conta tanto la sua storia, la sua l’esperienza, le sue compe- tenze, le sue relazioni, quanto il suo radicamento nella corporazione degli industriali, in un corpo sociale tutelato da un ordine professionale, o dalla rappresentanza sindacale, da una lobby, da un gruppo di pressione, senza contare il vasto assortimento di poteri sociali informali che sopravvivono in un Paese costituito da mille repubbliche legali e illegali. 

Il Quinto Stato non ha diritti né tutele certe, li acquista o le perde nello smercio quotidiano delle committenze, dei contratti, degli incarichi o dei favori.

Sta emergendo una nuova figura sociale, quella dell’apolide integrato, che paga le tasse, vota, esprime la sua opinione in piazza, ma non esce mai dalla zona grigia tra lavoro e non lavoro. Questo apolide è il rompicapo della cittadinanza contemporanea. È il prodotto di un sistema in cui l’istituzione statuale della cittadinanza è diventata un bene residuale perché si è affermato un nuovo tipo di governo, quello della governance, o della tecnocrazia, cioè lo statalismo senza Stato dell’Unione Europea o degli stati che la compongono. Questa organizzazione della politica a livello sovranazionale ha da tempo svuotato di efficacia i poteri delle rappresentanze parlamentari, oltre che quelli dei cosiddetti «corpi intermedi»: cioè i sindacati, i partiti e le associazioni di categoria.

L’apolide non si ritrova nelle rappresentanze parlamentari, sindacali o imprenditoriali esistenti. Galleggia nello spazio vuoto creato dalla scomparsa dell’equilibrio secolare tra la cittadinanza e lo Stato, tra la politica e il comando (ciò che i latini chiamavano imperium), tra la sovranità degli stati e le autorità internazionali che governano la loro vita (la BCE, il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale, la «Troika» che vigila sulla crisi degli stati europei, ad esempio). L’apolide non può sedersi allo stesso tavolo degli stati che hanno perduto la sovranità. Difficilmente può influire sulle decisioni di chi sta più in alto e condiziona tutti i livelli del potere politico.

Il Quinto Stato è il risultato della divergenza tra un’autorità che non comanda e un potere che non governa. Risiede in uno Stato dove sopravvivono le antiche funzioni del controllo e della sanzione, ma non le prerogative che hanno garantito la mobilità sociale, l’emancipazione di una quota crescente di persone, in alcuni casi l’indipendenza economica e la tutela dei diritti fondamentali. La sua partecipazione alla politeia è compromessa perché sempre meno persone in futuro riusciranno a lavorare ottenendo in cambio una parvenza di emancipazione, guadagnando un reddito da un’attività legalmente riconosciuta.

Questa situazione non aprirà la strada a un ritorno puro e semplice delle forme autarchiche, comunitarie o totalitarie, ma occuperà a lungo il nostro orizzonte, mettendo seriamente in pericolo la vita democratica. Ciò che però la crisi non rende necessario, né favorisce, non lo impedisce neppure fatalmente. 

La condizione negativa del Quinto Stato fa anzi emergere, in maniera ancora più urgente, la possibilità di un riscatto. 

Giuseppe Allegri-Roberto Ciccarelli

"Il Quinto Stato. Perché il lavoro indipendente è il nostro futuro" 
(Ponte alle Grazie)


pubblicato su Left, NUMERO 37 DEL 21 SETTEMBRE 2013

 

Oggi esce il quinto stato, con una dedica collettiva


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